Letture

Marco Aurelio sull'alzarsi alla mattina

Pensieri libro V 1

All'alba, quando ti svegli di malavoglia, tieni sottomano questo pensiero: «Mi sveglio per svolgere il mio compito di uomo; e ancora protesto per avviarmi a fare quello per cui sono nato e per cui sono stato introdotto nel cosmo? O forse sono stato fatto per restare a letto a scaldarmi sotto le coperte?». «Questo, però, è più piacevole».
Sei nato, allora, per godere? Il che, insomma, non significa forse: per essere passivo? O, invece, sei nato per essere attivo? Non vedi che le piante, i passeri, le formiche, i ragni, le api svolgono il proprio cómpito, collaborando per la loro parte alla vita dell'universo? E tu, allora, non vuoi fare ciò che è proprio dell'uomo, non corri verso ciò che è secondo la tua natura?
«Ma è necessario anche riposarsi». È necessario, lo dico anch'io: la natura, però, ha posto una misura anche per questo, ne ha posto una anche per il mangiare e il bere; e tu, ciò non ostante, vai al di là della misura, al di là di quel che è sufficiente? Non lo fai più, però, quando si tratta di agire: allora ti tieni «nei limiti del possibile»!
Non ami te stesso: perché in tal caso ameresti anche la tua natura e la sua volontà. Altri, che amano il proprio lavoro, vi consumano ogni energia, saltando il bagno, saltando i pasti: tu onori la tua natura meno di quanto il cesellatore onori il cesello o il danzatore la danza o l'avaro il denaro o il vanaglorioso la sua misera gloria? Eppure costoro, quando si appassionano, sono disposti a non mangiare e a non dormire pur di veder crescere l'opera in cui sono impegnati:
a te invece le azioni ispirate al bene della comunità sembrano di minor valore,
meno degne di attenzione?

The Ape of Wall Street

Il pianeta delle scimmie (Parte terza - Capitolo 4)

Il palazzo della Borsa era un grande edificio; di fuori appariva immerso in una strana atmosfera, creata da un intenso e confuso mormorio che cresceva man mano che ci si avvicinava, fino a divenire un baccano assordante. Entrammo. Di colpo ci trovammo nel cuore del tumulto. Mi rannicchiai contro una colonna. Ero ormai avvezzo alla presenza di singole scimmie, ma lo stupore mi coglieva ancora ogni volta che mi vedevo intorno una folla compatta. Il caso era tale, e lo spettacolo mi sembrò ancora più incongruente di quello dell’assemblea degli scienziati, in occasione del famoso congresso. Immaginatevi una sala di dimensioni immense, piena zeppa di scimmie, scimmie che urlavano, gesticolavano, correvano nel modo più disordinato, scimmie in preda all’isterismo, una brulicante moltitudine di scimmie che s’incrociavano, si urtavano, non solo sul pavimento, ma s’innalzavano fino al soffitto, situato a un’altezza vertiginosa. Infatti erano disposti trapezi, scale, corde che servivano loro per spostarsi in ogni istante. Le scimmie riempivano così tutto il volume del locale, che assumeva perciò l’aspetto di una gigantesca gabbia predisposta per le grottesche esibizioni dei quadrumani. Le scimmie volavano letteralmente in questo spazio, aggrappandosi sempre a qualche attrezzo nel momento stesso in cui temevo che stessero per cadere; e tutto ciò in un infernale baccano di esclamazioni, d’interrogazioni, di grida e perfino di suoni che non avevano niente in comune con nessun linguaggio civile. Vi erano, là dentro, delle scimmie che abbaiavano; proprio così: abbaiavano senza un apparente motivo, lanciandosi da un capo all’altro della sala, appese all’estremità di una lunga corda. «Avete mai visto niente di simile?» mi domandò pieno d’orgoglio l’amico di Cornelius. Ammisi volentieri di no. Mi era proprio indispensabile tutta la mia precedente dimestichezza con le scimmie per poterle ora considerare come esseri ragionevoli. Nessuna creatura di buon senso, infatti, condotta in questo circo, avrebbe potuto fare a meno di concludere che stava assistendo a una gazzarra di pazzi o di animali furiosi. Nessun barlume di intelligenza brillava nei loro sguardi e, in questo, si rassomigliavano tutte. Non era possibile distinguere l’una dall’altra. Vestite tutte allo stesso modo, portavano tutte la stessa maschera: la maschera della follia. Ma l’aspetto più conturbante di questa mia rievocazione è che, per un fenomeno inverso a quello che poco prima mi faceva attribuire forma di gorilla o di orangutan a personaggi di una scena terrestre, adesso vedevo sotto apparenze umane i membri di quella turba demente. Mi parevano proprio degli uomini che urlavano e abbaiavano in quel modo, e che si afferravano a un filo, tenendosi sospesi nel vuoto per raggiungere più in fretta il loro scopo. Un delirio febbrile mi faceva rivivere altri particolari di quella scena. Mi ricordai che, dopo aver osservato a lungo, avevo finito per notare qualche sfumatura che vagamente mi ricordava che quella ressa infernale faceva ugualmente parte di una organizzazione civile. Una parola articolata si staccava ogni tanto da quelle urla bestiali. Appollaiato su di un’impalcatura ad un’altezza vertiginosa, un gorilla, senza interrompere il gesticolare isterico delle mani, con un piede più fermo teneva una stecca di gesso, e scriveva su di una lavagna un numero che doveva avere un significato. Anche a questo gorilla attribuii sembianze umane. Non riuscii a sottrarmi a questa specie di allucinazione se non ritornando al mio abbozzo di teoria sulle origini della civiltà scimmiesca, e scoprii nuovi argomenti a suo favore in questa reminiscenza del mondo della finanza.

Vista la lunghezza della parte vi linko qui il romanzo in pdf (vi consiglio di recuperarlo per intero e fisico) Clicca qui per scaricare